Team di esperti o esperti di team? Peak performance!
Mi è tornato fra le mani un testo di qualche anno fa, Peak di @Karl Ericsson. Ericsson racconta la storia di grandi performer, dei veri e propri esperti e maestri nel loro campo, e di come abbiano potuto e saputo sviluppare questa loro competenza ‘assoluta’ in un campo. Al contrario della convinzione comune che la ‘expert performance’, come la chiama lui, sia legata ad abilità e capacità innate, la sua ricerca e il suo libro indicano che allo status di fuoriclasse si arriva principalmente attraverso la capacità di apprendere conoscenze complesse e con adattamenti fisiologici che si acquisiscono nel tempo. L’autore distingue fra la pratica non efficace e quella che lo è: a questo proposito parta di ‘deliberate pratice’ nel senso di un esercizio motivato e pianificato.
Gli step che ci possono portare al picco di performance, oltre alla ferma volontà di arrivarci, sono tre:
- La ricerca di un modello di esperto, che abbia raggiunto almeno il livello di riferimento; il fascino che questa maestria esercita vi spingerà ad esplorare i modi, gli stili e le motivazioni che lo hanno portato fin lì.
- Una volta fissato il modello, è il momento di cercare qualcuno che ci aiuti a far presto e a darci metodo nell’apprendimento. Serve un insegnante che sia adatto alla propria età ed esperienza, e serve aver fissato un livello target che ci porti al di fuori della comfort zone e che ci stimoli ad affrontare l’apprendimento in maniera sempre diversa, senza impuntature.
- Infine, man mano che si progredisce, serve la sensibilità di cambiare l’insegnante quando il proprio livello si eleva.
Insomma, come vedete: da soli l’eccellenza è difficile da raggiungere. Serve un piano deliberato, l’aiuto giusto e una gran fatica. Per dirla con Ericsson, “Il motivo per cui la maggior parte delle persone non manifesta le straordinarie capacità per eccellere non è perché non le possiedano, ma piuttosto perché sono soddisfatte di vivere nella propria area di comfort e non vogliono dedicarsi allo sforzo che è necessario per uscirne. Sono soddisfatte del mondo del ‘va bene così’”. Senza spingersi oltre la propria comfort zone non è possibile migliorare, ci dice il ricercatore.
Ultima nota: Ericsson insiste sul concetto di rappresentare mentalmente e nella maniera più chiara possibile sia come ci si sentirà e cosa si farà una volta raggiunto l’obbiettivo, sia, soprattutto, fissare e visualizzare nella mente tutto quello che si sta apprendendo e si sta facendo per sviluppare la performance eccellente. Questa azione contribuisce al rinforzo dei nuovi circuiti neurali che l’apprendimento costruisce: ve lo ricordate il cervello trino e la neurologia dell’apprendimento? In questo modo l’apprendimento diventa addestramento ed è più potente del semplice accumulo di conoscenza.
Una nota di colore, partendo da queste basi, Malcom Gladwell scrive Outliers, e lancia la famosa regola delle 10000 ore: il tempo minimo che serve per diventare un fuoriclasse in qualunque materia (vale solo se la mettete insieme ai tre punti che abbiamo visto prima).
Ma perché questa digressione sull’eccellenza se, con Paolo Chinetti, ci siamo occupati di team e lavoro di squadra ne Il team giusto, direte voi?
Perché esiste un particolare tipo di team, quello costituito da esperti (e magari che integra più discipline), che merita una esplorazione approfondita. Un team di esperti non necessariamente è collettivamente esperto nel lavoro di squadra; anzi, la grande competenza specialistica può essere causa dell’insorgere di conflitti e dissidi che riducono la performance della squadra.
La ricerca in questo campo è partita dall’ambito militare e da quello medico, per poi estendersi all’ingegneria e allo sport. Tiffany Bisbey, Allison Traylor ed Eduardo Salas ci spiegano, in un bell’articolo del Journal of Expertise, che, così come l’expertise dell’individuo non è innata, anche l’esperienza del team non lo è. I team devono impegnarsi e focalizzarsi per combinare e integrare le proprie competenze, per sviluppare ulteriore apprendimento operando insieme e creare le condizioni di clima che supportino un processo decisionale rapido e accurato.
In particolare, i ricercatori individuano otto ambiti di azione distintivi per sviluppare il lavoro di squadra fra esperti e cominciare a parlare di team esperto (vs team di esperti…):
1. Il team esperto deve sviluppare modelli mentali condivisi. Si tratta della percezione di come il task vada affrontato, con quali strategie e competenze e di come interagire fra esperti. Non si tratta di una attività banale, quando il team va sotto stress i modelli mentali condivisi tendono ad indebolirsi e ciascuno va per la sua strada. È per questo motivo che la pratica della team reflexivity diventa utile: si istituzionalizzano momenti di confronto e di discussione di obiettivi, strategie e processi operativi. Strumenti altrettanto fondamentali sono i pre- e i de- -briefing, in cui si fa il punto su processi e successi.
2. Il team esperto è in grado di apprendere ed adattarsi anche in contesti situazionali inattesi. Nel lavoro di squadra si costruiscono competenze e conoscenza i molti modi: lavorando insieme, formandosi individualmente o collettivamente, affrontando task critici. In tutti i casi si ‘segue’ l’indicazione di Ericsson: fare per imparare, e fare con un piano. Diciamo che il team di esperti è in grado di sviluppare una consapevolezza situazionale e di farne tesoro, l’adattamento e l’apprendimento non sono accostati a caso in questo punto!
3. Un team esperto definisce ruoli chiari e responsabilità precise. Si tratta di una precondizione per poter sviluppare la memoria transattiva del team, e cioè rendere subito disponibili le risorse di expertise della squadra. Ruoli e responsabilità si evolvono man mano che la mappa delle competenze collettive si completa. Un training adeguato può rinforzare questi processi.
4. Un team esperto è motivato da una visione condivisa.
5. Un team esperto sviluppa una leadership efficace e dinamica. Ricordiamoci il concetto di team come ecosistema e di leadership (anche diffusa) come caratteristica emergente/affiorante in risposta (e in anticipazione) rispetto al contesto.
6. Un team esperto è positivo e sviluppa un clima di sicurezza psicologica. La competenza specialistica aiuta in questo senso: gli esperti sono istintivamente più sicuri e ‘si riconoscono’ vicendevolmente.
7. Conseguentemente, un team esperto collabora e si coordina. La collaborazione e il coordinamento danno agli esperti nel team un vero e proprio boost di prestazione.
8. Un team esperto è resiliente. Di nuovo, questo discende dalla naturale capacità di un esperto di studiare e far fronte alle difficoltà con la competenza.
Come si possono sviluppare queste competenze collettive? (a) Con la formazione (ne Il team giusto dedichiamo una sezione alle diverse tipologie di formazione), (b) con la simulazione e lo scambio di ruoli, (c) con il team coaching e (d) con il debriefing.
Ma in che modo il team può puntare al picco di performance così come poteva un individuo (i tre passi di cui abbiamo parlato in apertura)? Non è semplice trasferire la ‘ricetta’ di Ericsson al team, e i tre ricercatori suggeriscono che la ‘deliberate practice’ venga concentrata su due domini in particolare.
- Il feedback, l’apprendimento e l’adattabilità. Un team esperto di esperti è in grado di raccogliere feedback in maniera efficace, di apprendere conseguentemente e di adattare la propria azione in qualsiasi momento. Occhio: quando si parla di adattamento si intende la capacità di sviluppare in una determinata direzione le proprie competenze e conoscenze. E occhio ancora: l’innesco di questo adattamento è il feedback, e quindi la capacità di coglierlo attraverso l’ascolto e l‘osservazione sul campo delle conseguenze dell’azione della propria squadra. Di qui l’importanza del debriefing, e anche del role playing e della simulazione che consentono di veicolare o di cogliere feedback in maniera ‘soft’.
- La conoscenza specifica di settore e la memoria come strumento di lavoro. Gli esperti, come conseguenza del loro sapere particolare, sviluppano la capacità di intuire in anticipo l’effetto di sollecitazioni esterne sulla loro azione. Hanno anche una memoria operativa molto più sviluppata della media delle altre persone. Insomma, per dirla con Camilleri, sono dei ‘cervelli parziali’. Grazie a queste due competenze gli esperti continuano ad applicare quello che apprendono in contesti diversi e affinano sempre di più le proprie competenze. Quindi, per mettere a fattor comune queste abilità e diventare un team esperto, è necessario concentrarsi sulla mappatura di queste competenze (memoria transattiva) e sulla capacità di renderle disponibili appena servono (consapevolezza situazionale).
Quando vi parlavo di pratica deliberata, riferita alla performance di picco individuale, ho inteso una caratteristica individuale, basata sulla motivazione e sulla visione. Nel caso del team, Salas e gli altri autori ci stimolano a pensare ad una pratica ‘guidata’ dal collettivo della squadra, per rispondere alle esigenze del task e agli obiettivi della stessa squadra. Nella pratica guidata, la leadership o un coach, guidano il team alla lettura dei feedback verso l’apprendimento e l’adattamento necessari.
Infine, c’è un’altra caratteristica che rende i team di esperti così proiettati verso l’essere team esperti: la passione per la propria competenza. Lo vedo e lo sperimento ogni giorno nei team di ingegneri: risolvere un problema, completare un task rappresenta il più grande stimolo per la squadra verso la sfida successiva!
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