Flusso Meraki Sahmadi (Parte 1)
Samadhi, illuminazione, flow, meraki: ci sono delle parole che periodicamente tornano alla ribalta e che indicano uno stato mentale di completa partecipazione, di prestazione ottimale, di piena consapevolezza. Ciascuna ha un background diverso, pensate solo alla illuminazione Zen, il samadhi… eppure abbiamo tutti sperimentato dei momenti perfetti, dove ci siamo sentiti in pieno controllo di quello che facevamo. Ormai tanto tempo da, Mihaly Csikszentmihalyi ha indagato i fondamenti scientifici e teorici di questa sensazione e l’ha definita il flusso, flow appunto.
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Sahmadi, Illuminazione, Flow, Meraki: la via del cielo (Flow: Part 1)
In questi giorni, per mille motivi, mi sono tornati in mente due libri, il primo di Mihaly Csikszentmihalyi, l’ormai famosissimo Flow, e il secondo di Byung Chul Han ‘La filosofia del
Buddhismo Zen’. Sono libri scritti con intenti diversissimi e a distanza di quasi vent’anni l’uno dall’altro, ma hanno in comune la fascinazione per quel senso di completa partecipazione e di concentrazione profonda che l’uno chiama Flow, l’altro riconduce al Samadhi dell’illuminazione Zen, ma che è stato chiamato nei suoi vari aspetti Meraki, Estasi, Talento Assoluto, ecc.
Ripercorriamo insieme il percorso di Mihaly Csikszentmihalyi, che cerca di dare un fondamento scientifico all’estasi del fare bene senza scopo (autotelico), per il gusto di fare bene e basta.
Lo scienziato ci dice che “Abbiamo tutti esperienza di momenti in cui, invece di essere in balia di forze senza nome, sentiamo di avere il controllo delle nostre azioni, di essere padroni del nostro destino. È il momento delle esperienze ottimali (il Flow appunto, n.d.s.). Alla lunga le esperienze ottimali si sommano fino a un sentimento di padronanza (o forse meglio di consapevolezza di partecipare a determinare il contenuto della vita), che è la cosa più vicina alla felicità che riusciamo ad immaginare.
Il flow è lo stato in cui le persone sono così coinvolte in una attività che sembra che non conti niente altro, inoltre, l’esperienza in sé e per sé è così soddisfacente che sarebbero disposte a svolgerla anche a un costo elevato per il solo piacere di farla.”.
Quindi, ecco già alcune parole chiave: padronanza, ottimalità, consapevolezza, felicità, gioia.
L’autore esplora, in una parte veramente importante del libro, il concetto di coscienza e di energia psichica, di sé autotelico. Vi raccomando di leggerli. Li tralascio qui perché vorrei focalizzarmi sugli aspetti più pratici della sua analisi.
L’esperienza ottimale sembra articolarsi secondo otto elementi principali:
- Di solito l’esperienza ottimale si verifica quando affrontiamo dei compiti che abbiamo la possibilità di svolgere: una attività stimolante che richiede abilità, un compito che rientra nelle nostre mansioni, una attività che mobilita le nostre capacità.
- Dobbiamo essere in grado di concentrarci su quello che stiamo facendo (la fusione dell’azione e della consapevolezza): dobbiamo avere il tempo, il luogo, il contesto per poterci dedicare.
- La regola di concentrazione è possibile perché il compito intrapreso ha degli obiettivi chiari (sappiamo quello che dobbiamo/vogliamo ottenere) e
- il feedback è immediato (è possibile un fine tuning continuo man mano che procediamo e un riscontro, magari di qualcun altro, rispetto a come va).
- Si opera con un impegno profondo, ma privo di fatica, che elimina dalla coscienza le preoccupazioni e le frustrazioni della vita quotidiana e
- le esperienze fonti di benessere interiore consentono alle persone di provare una sensazione di controllo delle proprie azioni (se ci pensate, questi ultimi due sembrano una conseguenza di quelli prima).
- Scompare la preoccupazione per il sé eppure, paradossalmente, il senso del sé riappare più forte al termine dell’esperienza.
- Il senso del tempo viene alterato, le ore durano minuti e i minuti si possono alterare fino a sembrare ore.
Se volete la possiamo vedere in un altro modo, e ce lo dice Mihaly: “l’elemento chiave dell’esperienza ottimale è che è fine a sé stessa (autotelica). Anche se inizialmente era stata intrapresa per altri motivi, l’attività in cui ci caliamo in pieno diventa la propria ricompensa”. Vi ci ritrovate? Il termine autotelico indica un’attività che è completa e che si completa in sé e per questo motivo la si affronta, in profondità, perché esercitarla diventa una ricompensa di per sé.
Proviamo allora a vedere come creare le condizioni per arrivare al Flow!
- Stabilire degli scopi. Per poter provare il flow si devono avere degli scopi chiari ai quali tendere. La scelta dello scopo è legata al riconoscimento delle sfide: decidere di fare per fare bene una cosa in particolare, non tutte. “Appena gli scopi e le sfide definiscono un sistema di azione, a loro volta indicano le capacità necessarie per operare entro questo contesto.” Ci dice l’autore. Una volta identificato lo scopo, mi dedico a quello e basta.
- Immedesimarsi nell’attività! Dopo aver scelto un sistema di azione, si deve trovare l’equilibrio fra la propria capacità e l’obiettivo da raggiungere: addestrarsi, allenarsi, abituarsi, apprendere…tutto quello che serve a farci avvicinare allo scopo.
- Prestare attenzione a quello che succede. Invece di preoccuparsi per come sta andando, per come la vedono dall’ esterno, si mantiene il focus su quello che si sta facendo, su come lo si sta facendo e su quanto dista dal come lo di dovrebbe fare. Si investe il proprio capitale energetico nel sistema di cui si fa parte mentre si agisce per raggiungere lo scopo, ci si integra nell’ambiente anziché separarsene, lo si ascolta e lo si osserva per affinare la qualità della propria azione. Occhio: c’è una differenza fra ascoltare l’ambiente e ascoltare l’opinione che gli altri hanno di quello che stiamo facendo. Ricordatevi di Epitteto, il grande filosofo stoico: “Se soffrite per le cose del mondo, non sono quelle a turbarvi, ma il giudizio che voi stessi ne date. E potete cancellare quel giudizio immediatamente.”. Eh, sì: duemila anni prima di Mihaly Csikszentmihalyi.
- Impegnarsi con tutto sé stesso nei propri scopi. Una persona che sta attenta all’interazione invece di pre-occuparsi di/per sé stessa ottiene un risultato paradossale: non si sente più un individuo separato, eppure il suo sé diventa più forte. La consapevolezza generata dal fare consolida l’esperienza del sé, scusate la frase pomposa, ma è proprio così…
- Trovare soddisfazione nell’esperienza immediata. La focalizzazione sullo scopo rende capaci di trovare soddisfazione anche quando la situazione obiettiva è orribile o pericolosa, intuendo le opportunità che possono venire dall’inciampo o dalla difficoltà. Avere il controllo della propria mente attraverso la consapevolezza, significa che letteralmente tutto quello che succede può essere fonte di gioia.
Il rimando continuo al modo orientale di vedere il mondo è una costante del libro di Mihaly Csikszentmihalyi. Non è da meno Byung Chul Han, anche se con finalità più filosofiche e con l’intento di comparare le tradizioni occidentali e quelle orientali (ci torneremo in un prossimo articolo). Vi saluto, esagerando, con una citazione che forse ha più di duemilacinquecento anni, dal libro del Tao te Ching di Lao Tzu: “Questa è la via del cielo: fa il tuo lavoro e poi ritirati quieto.”.
Nel prossimo articolo vedremo come il Flow si applica al team!