Ma che squadra facciamo se non c’è tempo? Ma dai, usa l’extreme teaming.

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Ma che squadra facciamo se non c’è tempo? Ma dai, usa l’extreme teaming.

Per chi opera nel mercato italiano, la narrativa sul lavoro di squadra, compresa la nostra de #ilteamgiusto, a volte sembra avere a che fare con un mondo ideale. Si, si … il team coaching … , il feedback … , le norme e il tempo dedicato alla squadra … ma chi ce l’ha questo tempo? Si avviano i progetti ambiziosi che però vanno sotto pressione da subitosi arriva a metà e ci si ferma, se ne comincia un altro, e poi si torna al primo, intanto i prezzi scendono ma i requisiti prestazionali aumentano … di sicuro non c’è il tempo per sviluppare pieno flusso e piena consapevolezza di squadra.

Non si tratta di una situazione solo italiana: i ritmi si fanno convulsi dappertutto, i requisiti di partenza sono sempre più instabili, i tempi lunghi di un progetto non se li può permettere più nessuno, anche se poi queste ‘inefficienze’ li dilatano a volte in maniera difficile da controllare, intanto, le squadre si assemblano e disassemblano velocissimamente.

Nel suo libro Extreme TeamingAmy Edmondson ci fa notare che in questi casi è meglio focalizzarsi sul teaming (parola coniata apposta!) come processo piuttosto che sul team come entità. In questo senso, il ruolo del team leader si fa più importante, anzi, proprio in quei contesti e configurazioni mutevoli che mescolano persone diverse di organizzazioni diverse e rendono una leadership indispensabile.

L’esempio più cristallino di metodologia organizzativa a leadership diffusa, lo scrum, in effetti, non ammette variazioni di schema: o il focus è sul team o lo scrum non si fa.

Al contrario, viviamo sempre più spesso situazioni in cui i team si formano per risolvere urgenze momentanee, e mettono insieme differenti professionalità provenienti da diversi rami della/delle organizzazione/i. Questo vale in un pronto soccorso tanto quanto nei processi di manutenzione spinta del mondo dell’ingegneria.

Quali particolarità hanno, allora, i flussi di processi che emergono durante queste collaborazioni così fuggevoli e che paiono così focalizzate sul risultato a breve da trascurare il modo con cui le persone danno vita ad un embrione di squadra?

Se ripensiamo alla team science, le sfide che questi ‘extreme teamplayers’ affrontano sono di diversi livelli.

•        Sono sfide interpersonali che coinvolgono emozioni e relazioni. Il teaming estremo porta persone che non si conoscono a dover convivere e collaborare rapidamente ed intensamente: si creano linee di frattura, sottogruppi, ci sono emozioni che si fronteggiano, somiglianze che si attraggono.

•        Sono sfide di conoscenza e competenza: c’è poco tempo per integrarsi, e quindi ci sono meno possibilità di contare su processi cognitivi emergenti, su modelli mentali e pratiche consolidate.

E su questi aspetti il teamleader si deve dare da fare.

Prima di tutto è necessario condividere alla svelta una visione coinvolgente e rinforzarla con costanza:

•        È fondamentale rendere espliciti i valori, all’avvio del progetto e ad ogni incontro, è opportuno ripercorrere velocemente le ragioni per cui si sta insieme, quali sono gli elementi fondativi di questa condivisione. Si tratta di un processo vivo: la visione si adatta alla situazione.

•        E poi, è fondamentale un obiettivo impegnativo: deve emergere con chiarezza che il focus è così essenziale e il tempo così poco che non c’è spazio per passeggeri: si accettano solo autisti!

Secondariamente, abbiamo parlato più volte di sicurezza psicologica ma qui in leader deve mostrare una autentica cura per le persone che corrono al suo passo; i leader di progetto devono trasmettere il desiderio di raggiungere il successo collettivo. Questo significa anche essere aperti a discutere i fallimenti e prendersi del tempo per esplorare modi efficaci per affrontare gli impedimenti che i partecipanti al progetto affrontano lungo il percorso.

Inoltre, c’è bisogno che i leader facilitino il processo di condivisione e apprendimento che dà origine a modelli mentali condivisi. Questi modelli a loro volta aiutano il team a determinare la natura e la struttura dei moduli richiesti e a identificare le interfacce in cui sono necessarie conversazioni ponderate e coordinamento. Sfruttare le capacità dei membri della squadra è essenziale per qualsiasi progetto di innovazione, ma chi pratica il teaming estremo in genere ha bisogno di supporto per colmare le lacune di conoscenza tra le aree di competenza.

Qui, di nuovo, la Edmondson ci evidenzia alcune strategie più efficaci di altre. Eccone alcune.

Qui, di nuovo, la Edmondson ci evidenzia alcune strategie più efficaci di altre. La più importante è

•        Mappare e gestire la condivisione delle conoscenze. 

•        Se non c’è il tempo di fare ‘emergere’ quei processi conoscitivi (essenzialmente modelli mentali e memoria transattiva) è determinante la gestione delle interfacce interpersonali. Non si tratta solo di informazioni, ma anche di tradurre diverse interpretazioni e indirizzare gli interessi individuali per costruire un significato e una comprensione condivisi. Per far questo servono delle linee guida (il team charter o il team playbook sono essenziali in queste situazioni) e l’attenzione verso le modalità di comunicazione, cercando di regolare esplicitamente sia quella sincrona (in presenza e a video), sia quella asincrona (indiretta, a distanza).

•        È giusto regolamentare le riunioni e, soprattutto, dimensionare correttamente le call; ma, soprattutto, la qualità della relazione deve essere elevata: una ricca interazione sincrona (come quella consentita dalle riunioni faccia a faccia o nelle call con pochi partecipanti) può essere più utile per le informazioni più delicate, mentre, ad esempio, una comunicazione asincrona, e quindi meno ricca, è sufficiente per il semplice trasferimento di informazioni.

•        Il teamleader può usare efficacemente i momenti durante i quali riunisce i partecipanti al progetto. La sua presenza, nel senso di presenza attiva e dedicata, è importante per riformulare/reindirizzare alcuni degli input dei partecipanti in modo che tutti i soggetti coinvolti siano in grado di comprendere e applicare le intuizioni che emergono.

•        Avere una strategia per la gestione delle interfacce fra il gruppo e il ‘mondo’ esterno. Qui è opportuno favorire incontri strategici ‘di confine’ specificatamente dedicati, non al telefono o su Teams, ma di persona, in cui, possibilmente, i partecipanti al progetto possano lavorare sui problemi insieme, fianco a fianco, usando strumenti che li aiutino a comunicare tra loro.

•        Ispirarsi e favorire una esecuzione agile, in particolare per quel che riguarda il modo con cui l’Agile favorisce e stimola l’apprendimento intorno ai temi del progetto. Invece di separare l’azione e l’apprendimento – ad esempio nella pianificazione e nell’esecuzione – i partecipanti al progetto possono integrare l’uno e l’altra ricercando una modalità di esecuzione che sia apprendimento. Non orientamento alla performance ma orientamento all’apprendimento. Guardare all’Agile significa, per esempio,

•        (a) costruire degli ‘spazi temporali’ esplicitamente dedicati alla squadra per esplorare e fare progressi nel progetto, esponendo approcci innovativi e dissenso costruttivo e

•        (b) lasciare il margine di manovra delegando l’autorità decisionale su compiti non modulari/ripetitivi a membri del team con competenze adeguate.

•        In questo modo si dà autonomia nello svolgimento del lavoro a individui e sottoteam, facendo anche comprendere ai partecipanti le loro responsabilità nei confronti dell’intero progetto in modo coerente. E poi, ‘empowerment stimola i comportamenti di apprendimento in team autogestiti. Al contrario, quando ai gruppi viene negata una libertà sostanziale, possono cadere in una modalità firefighting e di appiattimento sulle regole o sulle specifiche, semplicemente come scorciatoia più semplice per risolvere i problemi, dimenticandosi dell’obiettivo originario.

W l’extreme teaming! Provate a praticarlo.


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