Organisational Vertigo: il vuoto che attira il cambiamento
Tra le tante situazioni che possono generare la necessità di un cambiamento, quella di una riduzione dello spazio vitale o quella di una perdita di rendite di posizione possono essere fra le più dolorose e sconvolgenti per una organizzazione o per un team. Il cambiamento porta con sé la necessità di rivedere la propria visione, missione, struttura e quindi strategia. Fin qui niente di nuovo. Leggendo un bell’articolo di Valerio e Luciano Traquandi sulle trasformazioni culturali e il ruolo delle marginalità nel cambiamento (Change Management: il ruolo chiave delle Marginalità) mi ha colpito la sottolineatura della opportunità del ‘vuoto’ (o, se preferite, dello spazio) come elemento che può favorire le dinamiche di trasformazione.
Una delle ansie che, anche personalmente, ho visto esprimersi di fronte alla messa in atto di un cambiamento organizzativo è quella di definire, di chiarire e di comunicare con il massimo dettaglio i processi, gli schemi, i ruoli nella convinzione che i colleghi, trovando tutto chiaro ed espresso, potessero immediatamente abbracciare il cambiamento. E in effetti, un cambiamento di forma (di sede, di strumenti, di pratiche) stimola di sicuro un cambiamento di sostanza (di comportamenti, di cultura). Luciano e Valerio, però, ci mettono in guardia rispetto ad una tentazione: quella di cancellare il passato e di non far percepire ‘la perdita’, il cambiamento di identità. La spinta profonda al cambiamento potrebbe, invece, risiedere proprio nella perdita, nello spazio che esprime la differenza fra il passato e il presente, ”come se la destrutturazione permettesse al potenziale di esprimersi solo nel momento in cui si crei un vuoto, che a sua volta può essere riempito se si lascia alle persone la possibilità di riflettere su di sé e di ridefinire il proprio ruolo. È opportuno, dunque non cercare una totale pianificazione e organizzazione del processo di cambiamento, lasciando che si vengano a creare questi vuoti strategici.”, ci dicono.
Questa possibilità di esprimere il proprio contributo al cambiamento anche, e non solo, riflettendo sul proprio ruolo, l’abbiamo esplorata in diverse occasioni ne #ilteamgiusto con Paolo Chinetti. La ritroviamo nello svilupparsi di modelli mentali, nella creazione della memoria transattiva del team, nel senso di coesione e nel clima, nello sviluppo dei comportamenti collaborativi, nella gestione dialogante delle faultlines.
Se il team è in grado di sviluppare e condividere una cultura cooperativa, allora la struttura teorica del cambiamento può tradursi in una realizzazione pratica efficace. Non basta una leadership, pur consapevole e pur coinvolta nello sviluppo concettuale del modello di cambiamento, servono un acculturamento organizzativo generalizzato e la capacità di ascoltare il messaggio che proviene dal coinvolgimento di tutti gli strati dell’organizzazione. Può essere un processo anche lungo, e l’ascolto non deve mai interrompersi. I Traquandi citano il sociologo austro-francese Erhard Friedberg, e la sua idea di ‘cultural dissemination’ come “un’azione strategica nei momenti di cambiamento.”.
E ancora, questi elementi permettono “la generazione delle idee dal basso e un’apertura ai contributi di elementi marginali, la cui inclusione e/o eliminazione strutturale [potrebbe rischiare] di annullarne il valore aggiunto. Il riconoscimento delle diversità interne può quindi fungere da punto di partenza per un’integrazione – che si distingue dall’assimilazione o inclusione – [che si rivela] il tentativo di individuare dei punti di contatto, una strada da percorrere per la consapevolezza di sé che funga da avvio del cambiamento.”.
Può succedere che il dissenso, che apparentemente può mettere in discussione il cambiamento, in realtà, proprio in quanto diventa una forma di libera espressione della propria interpretazione delle esigenze del team o dell’organizzazione, finisca col rafforzarlo e con il consolidarlo. Luciano e Valerio parlano addirittura di un ‘contropotere distribuito’ che rafforza il cambiamento attraverso la creatività e la divergenza. È chiaro che l’ascolto consente di ridurre il potenziale conflittuale di queste espressioni e crea le condizioni di sicurezza psicologica perché i feedback possano effettivamente esprimere dei bisogni prima che si rovescino in critiche e le richieste prima che appassiscano in pretese. Ancora i nostri autori “All’importanza di condividere l’obiettivo ultimo si aggiunge quindi una discordanza su come si possa raggiungerlo. Così, il dissenso o la critica vanno analizzati tenendo conto delle motivazioni che vi sottostanno e delle modalità con cui si relazionano con ciò che viene criticato.”.
Il dominio creato dal senso di coesione, dal clima e da un contesto di sicurezza psicologica può, quindi, rendere accettabile un ‘vuoto’ nel disegno del cambiamento, un livello minimo di destabilizzazione e di destrutturazione che stimoli la riflessione e la creatività e, soprattutto, permetta di reinterpretare queste ‘limitazioni’ in maniera costruttive e funzionali.
Va in questa direzione la bellissima intuizione di John Kotter in XLR8 che propone di affiancare al disegno gerarchico dell’organigramma, un disegno reticolare del network di libere influenze che possano rafforzare e, appunto, accelerare il processo di cambiamento.
Se volete, la differenza fra l’organigramma di sinistra e il diagramma del network di destra è proprio la presenza del vuoto, che attrae la creatività e l’iniziativa.