Potere – Regola – Cambiamento
Già Vi vedo che scuotete la testa: potere, regola, cambiamento…ma non si parlava di agile, di creatività, di delega…
Se Vi ricordate la nostra ultima chiacchierata sulla vertigine organizzativa e sul ‘vuoto che attira il cambiamento’, abbiamo citato Erhard Friedberg e la sua visione del cambiamento espressa nei due testi L’attore e il sistema (con Michel Crozier) e il Potere e la Regola. Ebbene … rieccoci a parlare di loro!
Ne #ilteamgiusto con Paolo Chinetti abbiamo esplorato il tema della regola, della norma di comportamento come modello mentale o pratica di collaborazione che contribuisce a creare il clima, il senso di coesione, un contesto in cui esprimersi liberamente (per favorire innovazione e adattamento). Abbiamo trattato, quindi, i framework organizzativi del lavoro di squadra, ma non abbiamo analizzato in maniera approfondita la relazione fra le regole e l’autorità per esercitarla. Tutto sommato l’abbiamo data per scontata, o per inclusa, nell’idea della leadership. Beh, Friedberg ci offre una visione sociologica della azione organizzata, fondata sui concetti di potere e di regola, e ci mostra l’azione di squadra da un punto di vista ancora diverso.
Per Erhard Friedberg e Michel Crozier, un’azione organizzata è “il processo attraverso il quale si stabilizzano e si strutturano le interazioni strategiche tra un insieme di attori posti in un dato campo d’azione e reciprocamente dipendenti per la soluzione di alcuni ‘problemi’ comuni”. Come vedete, si tratta di una definizione più sociologica dell’agire di un team rispetto alle solite…
Il loro approccio identifica quattro elementi principali, a questo proposito:
- un attore strategico (essere un individuo, un gruppo o qualsiasi altra entità collettiva) con i propri interessi che interagisce con altri attori – agendo anche strategicamente;
- un sistema concreto formato dagli attori interagenti;
- il gioco come meccanismo di integrazione/interazione tra attore e sistema in cui ogni attore ha i propri interessi, ma anche l’interesse a mantenere vivo un concreto sistema di azione;
- il potere come capacità di azione che è lo scambio sbilanciato di possibilità di azione e che ha quattro fonti (cioè la padronanza di specifiche conoscenze specialistiche, il controllo delle risorse informative e comunicative e le regole organizzative) (Crozier e Friedberg 1979, 1995).
La particolarità che vorrei sottolineare è che, a differenza degli schemi manageriali e di leadership tipici del nostro mondo tecnico e operativo, questi autori spiegano l’azione organizzata sulla base di “sistemi empirici di attori” dinamici. Possiamo parlare di ecosistemi basati sulla relazione interpersonale? Direi di sì.
Anche il tema della competenza riveste una grande importanza, e lo vedremo più avanti.
A partire da questa visione, gli autori ci regalano una spiegazione molto solida del perché in un’azienda la ‘regola’ viene continuamente messa alla corda. In effetti, la natura disordinata delle organizzazioni può essere spiegata ricorrendo al peso delle strutture informali. Le molteplici, variabili e forse contraddittorie aspirazioni e motivazioni dei membri di un’organizzazione competono e contrastano con la razionalità economica dell’organizzazione che i suoi obiettivi, la sua struttura e le sue regole formali dovrebbero esprimere. Danno vita a un mondo parallelo, generando un insieme di fenomeni che si incarnano in una struttura informale e in obiettivi latenti attraverso i quali i membri dell’organizzazione cercano di soddisfare i bisogni che la semplice logica dell’efficienza incarnata dalla struttura formale dell’organizzazione non permette loro di accontentare. È qui che si gioca la partita dei comportamenti ed è qui che entrano in gioco la regola e, quindi, il potere.
In effetti la regolazione del comportamento degli attori coinvolti in un campo d’azione condiviso può essere vista come una forma di organizzazione del potere. Il potere è lo scambio sbilanciato di possibilità di azione tra un insieme di attori individuali e/o collettivi. Ci sono tre implicazioni importanti da trarre da questa definizione.
- Il potere è inseparabile dal rapporto attraverso il quale viene esercitato, e che lega ogni volta persone concrete attorno a una questione specifica (occhio, questo è fondamentale…).
- Il potere è la manifestazione naturale e normale della cooperazione umana che presuppone sempre una dipendenza reciproca e squilibrata degli attori (non si scappa dalle relazioni di potere!).
- Poiché il potere è una relazione, non può essere imposto unilateralmente da chi lo ha a chi non lo ha (tanto più nel contesto del lavoro di squadra).
Il comportamento dei diversi partecipanti a una relazione di potere racchiude sempre due dimensioni contraddittorie e complementari allo stesso tempo, esse sono implicate da due strategie simultanee.
- Il primo di tipo offensivo mira ad aumentare la prevedibilità degli altri riducendo il loro spazio di manovra.
- La seconda, di tipo difensivo, mira contemporaneamente a che ciascuno riduca la propria prevedibilità tutelando ed estendendo la propria autonomia e spazio di manovra (e infatti l’intercambiabilità di ciascun partecipante diventa una questione importante, se non la questione principale di qualsiasi rapporto di potere, poiché riduce l’autonomia dei partecipanti).
Così,
- ad un estremo, possiamo immaginare un campo dove c’è una forte concorrenza e dove una tecnica di misurazione indiscutibile permette di misurare le prestazioni di tutti. In questo caso l’autonomia è minima.
- All’altro estremo avremmo un campo d’azione in cui gli obiettivi, i bisogni dei requisiti dei diversi partecipanti sarebbero ambigui e difficili da articolare, nessuno avrebbe informazioni affidabili sulle prestazioni degli altri. In questo caso, l’autonomia è massima.
La realtà si trova a metà strada tra questi due estremi.
In questo senso, un framework di azione come scrum, o lo stesso waterfall, mirano a rendere prevedibili tutti gli scambi, a regolamentare in maniera semplice e condivisa le relazioni, a permettere l’intercambiabilità dei ruoli, ottenendo come risultato la redistribuzione del potere e la focalizzazione sull’obiettivo.
Una regolamentazione efficace è sempre il prodotto di un mix dove prescrizioni formali e processi informali si mescolano, sostenendosi a vicenda, e dove le prescrizioni formali sono radicate in una struttura di potere e processi di scambio e negoziazione informale, per i quali a loro volta forniscono argomenti e risorse. Ma la regolamentazione formale è sempre essenziale nella misura in cui permette di stabilire legittimità, di congelare le gerarchie, di strutturare un equilibrio di potere, insomma di tutelare gli attori di un campo bloccandolo contro riordini troppo brutali.
In ogni momento, la strutturazione del campo può essere intesa come un insieme di giochi le cui regole e convenzioni (formali e informali) disciplinano le tendenze opportunistiche degli attori e canalizzano, regolarizzano, rendono la loro defezione più costosa se non sempre prevedibile irrigidendo i meccanismi di scambio e ‘opacizzando lo spazio delle transazioni per disporre così zone di possibile negoziazione’.
Nella misura in cui presuppone lo sfruttamento delle incertezze di fronte agli altri, nella misura in cui il suo esercizio è legato alla negoziazione e alla contrattazione, il potere come concepito dall’approccio organizzativo e sociologico pone la questione dei suoi legami con la competenza degli attori e questo in due modi diversi.
- Innanzitutto, attraverso le competenze, cioè conoscenze pratiche che consentono di controllare le incertezze, il potere può agire in maniera efficace.
- Il potere è legato alla nozione di competenza ad un secondo livello, quello della competenza degli individui e dei gruppi ad affrontare questa realtà invece di nasconderla. Il loro apprendimento familiare e sociale ha permesso loro di forgiare quadri di riferimento, mezzi concettuali e un breve quadro psicologico di strumenti culturali consentendo loro di padroneggiare le conseguenze affettive della relazione con gli altri, ma in modo molto diseguale. Di conseguenza, la competenza forgia la capacità di esercitare il potere nell’ambito di una organizzazione.
OK, questa carrellata è bella pesante. Quindi: la regola, attenua l’intensità dell’esercizio del potere, ne ridistribuisce la gestione e semplifica le negoziazioni/interazioni. La competenza permette l’esercizio del potere e ne razionalizza l’impiego.
Quale prospettiva assume, allora, il cambiamento e quale ruolo ha in questo ambito il potere? Ricordiamoci che l’adattamento della strategia, la capacità di far fronte a nuove condizioni di sistema, ci porta a raggiungere l’obiettivo del task della squadra: è soprattutto la possibilità che dà potere di trasformare efficacemente la struttura del sistema di attori in questione nella direzione voluta a giustificarlo.
La prospettiva del cambiamento è una prospettiva caso per caso, e quindi la sua è una natura relazionale e comportamentale. Che si tratti di introdurre modifiche alle procedure e ad altri dispositivi apparentemente soft o, al contrario, apparentemente hard, è proprio la modifica dei comportamenti reali a cui l’intervento deve puntare, che implica un investimento a lungo termine e soprattutto nella gestione del tempo.
Quindi: potere, regole, organizzazioni gerarchiche, organizzazioni informali, stabilità, opportunismo, convenzioni, competenza, comportamenti, prevedibilità, ambiguità, cambiamento. Il fascino delle relazioni umane.