Scegli e apprendi: dal Cervello Trino, alla piramide di Maslow fino all’Ikigai

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Scegli e apprendi: dal Cervello Trino, alla piramide di Maslow fino all’Ikigai

Quando ci si imbatte per la prima volta nell’idea di cervello tripartito, la prima reazione è quella di un wow!, con cui ci sembra di poter spiegare tutto. Si tratta della teoria formulata dallo psicologo evoluzionista Paul McLean nei primi anni Settanta, secondo cui di distinguono tre parti del cervello, ciascuna dedicata a funzioni distinte ma operanti in base ad una ‘gerarchia’, il cosiddetto principio di Jackson, secondo la quale le reazioni agli stimoli esterni partono dalle aree più antiche del cervello e si muovono verso le strutture di più recente formazione (dalle reazioni istintive di sopravvivenza, alla socialità delle emozioni fino al senso di sé). Naturalmente, si tratta di una componente molto ‘catchy’ di un fiume di ricerche neurologiche e neuroscientifiche che sono ancora nel pieno del loro sviluppo.

Eppure, schematizza in maniera molto efficace l’origine ‘evoluzionistica’ della struttura del nostro cervello e quindi dei nostri comportamenti. In realtà, a ben vedere, qualche anno prima, lo psicologo Abraham Maslow elaborava, per vie completamente diverse, una teoria sui bisogni motivazionali degli individui che ha molta attinenza con il cervello trino. Maslow dedica i propri studi più importanti al tema della motivazione e sviluppa una teoria secondo cui i bisogni motivazionali di un essere umano si evolvono secondo una scala gerarchica (a piramide) che parte dai bisogni primari e fisiologici per arrivare a quelli superiori e secondari ovvero stima, sicurezza, affetto, amore e dar luogo all’autorealizzazione.

Si arrivò solo dopo la sua morte alla condensazione di questi concetti in un’altra immagine iconica: una piramide che parte dai bisogni primari per giungere al bisogno della realizzazione di sé; si sale di un gradino solo se quello che precede viene ‘soddisfatto’: non si saltano passaggi ‘motivazionali’!

Maslow e i suoi eredi ci dicono che se non vengono appagati i bisogni primari non si ha la capacità di esprimere esigenze di livello superiore.

Se ci pensate, questa gerarchia di bisogni ricorda molto la tripartizione della teoria di McLean: prima la sopravvivenza, poi le emozioni, poi il sé. Se non saranno soddisfatti i bisogni fisiologici, tutti gli altri non avranno significato (una specie di sequestro motivazionale!). Subito dopo tocca ai bisogni di sicurezza, di stabilità, di protezione; questi sono i bisogni che strutturano il comportamento e aprono la via alla socialità. In effetti, appena la sicurezza è acquisita, si comincia a pensare all’appartenenza, all’affettività. Ma l’essere umano non si completa qui: dalla stabilità emotiva si passa al desiderio di essere stimati e compresi (non solo dagli altri ma anche da sé stessi!). A questo livello si pone la spinta al miglioramento personale, la formazione dell’ambizione. E poi, si passa al bisogno di autorealizzazione, alla dedizione al pensiero e alle passioni astratte.

Lo stimolo motivazionale emerge quando l’individuo avverte un bisogno, inteso come la percezione di un gap fra la situazione attuale e il futuro desiderato. Possiamo dire che il bisogno rappresenta uno stato di insoddisfazione che induce l’individuo all’azione nell’intento di mutare la propria condizione.

Dal punto di vista del team, è molto importante riconoscere che ogni individuo sente istintivamente il bisogno di appartenere a un gruppo, a una comunità e di essere riconosciuto. La mancanza di riconoscimento provoca uno stato di insoddisfazione e di demotivazione fortissimo che è fisiologico, espresso al livello del cervello limbico, e quindi in grado di avere la ‘priorità’ sul pensiero (neocorticale). Non è un fattore da poco. Ricordiamocelo.

Al contrario, sentire di appartenere, essere accettati e riconosciuti, ha un effetto fisiologicamente benefico e ci consente di accedere ad un livello superiore di attività cerebrale. Se ci pensate, abbiamo appena dato una spiegazione ‘fisiologica’ del perché sono così determinanti la fiducia e la sicurezza psicologica di cui molto abbiamo sentito parlare e scritto con Paolo Chinetti ne #ilteamgiusto.

Una bellissima conclusione del libro di Scott Barry Kaufman, Transcend, attualizza il modello di Maslow con l’aggiunta di una fase, il trascendere, e l’autore richiama un concetto, l’Ikigai, mutuandolo dalla cultura giapponese per focalizzare l’idea di trascendenza. L’Ikigai rimanda al motivo per cui si vive, a quello che da una ragione ai nostri sforzi. Ha una rappresentazione grafica molto bella ed espressiva, guardatela e la capirete da soli. Qual è il vostro Ikigai?

Lavorare in team mobilita tutte le esigenze della scala di Maslow, su, su fino al bisogno di autostima (e se seguiamo Kaufman, fino alla realizzazione di uno stato permanente di crescita). Questo vale per il singolo componente del team come per il collettivo. Per questo la creazione di un clima di condivisione, di ascolto e di sicurezza psicologica determina il successo e il grado di innovatività di una squadra. La condizione di sicurezza psicologica (ci dicono gli studi di @Amy Edmondson) si sviluppa in un team dove si è creato un clima caratterizzato dalla fiducia interpersonale e dal mutuo rispetto, grazie al quale le persone possono essere liberamente se stesse. È così che il team stabilisce delle norme condivise per la gestione dei conflitti, per lo scambio di idee, per il riconoscimento degli errori e, quindi, per l’apprendimento.


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